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Zig zag tra i libri per dire l'adolescenza

Immagine del redattore: SilviaSilvia

A maggio ero attesa a Bellinzona per il festival Storie Controvento insieme ad altri autori come Gabriele Clima, Christophe Léon, Susin Nielsen, Maurizio A.C.Quarello e Marco Balzano.

Dato che il festival non si farà, mi è stato chiesto un contributo che possa raggiungere i lettori che avevano scelto il mio romanzo Black hole (San Paolo).

Ho pensato allora di rivelare un piccolo segreto.

Quando scrivo una storia capita che parole e pensieri vadano a cercare in lungo e in largo e mettano radici in più luoghi contemporaneamente. Che cosa voglio dire? Che dopo qualche tempo mi accorgo che ci sono corrispondenze in più libri, che i miei personaggi, le mie storie, i miei versi, si parlano da un libro all’altro.

Oggi provo a raccontare un esempio di quello che succede. È uno strano procedere a zig zag.

Black hole nasce dopo un tempo lungo in cui i due personaggi mi chiamavano a raggiungerli in un posto sperduto. Funzionava così. C’erano questi due ragazzi, li vedevo chiaramente in una casa abbandonata. Non sapevo che ci facessero e perché fossero capitati lì. La casa però la conoscevo bene. Era una casa in costruzione lasciata andare alla malora. Ne avevo avuta una identica accanto a casa mia. Quando ero piccola la frequentavo spesso, quasi ogni giorno. Una casa senza porte né finestre. I lavori erano stati lasciati a metà e la casa era diventata ben presto molto pericolosa.

Questa casa, vera al cento per cento, l’ho raccontata anche nel libro autobiografico C’è questo in me (Topipittori). Il gioco che fanno Giulio e Samantha, quello di girare attorno alla casa camminando pericolosamente su un cordolo sospesi in aria, l’ho fatto mille volte.


È una casa in costruzione davanti a casa mia. È come se la mia casa si specchiasse e dall’altra parte ce ne fosse una gemella ma ancora tutta libera e vuota e piena di possibilità. I lavori vanno a rilento, poi si fermano. Non ci sono più soldi e la casa è lì, spoglia e fatta a metà. Per i grandi è il Grande Pericolo: non ci sono terrazze, né porte né infissi, non ci sono parapetti né protezioni per le scale. Solo cemento, ferri arrugginiti che sbucano dai blocchi e buchi ovunque. Per me e le mie amiche è la grande occasione di avere una casa tutta per noi.

Ci ritroviamo lì ogni volta che possiamo.

Tre sono i giochi migliori. (…) Il terzo è fare il giro della casa mettendo i piedi su un cordolo di cemento che circonda tutto l’edificio a un paio metri da terra. Per farlo occorre tenere le braccia aperte, schiacciare il corpo addosso alla parete e infilare i polpastrelli negli gli spazi vuoti tra i mattoni. Poi strisciare cercando un appiglio più avanti. Ci graffiamo la guancia, sudiamo, stiamo in equilibrio e non cadiamo mai. Le mamme, appena si accorgono che siamo di nuovo lì, urlano dalle terrazze, ci vengono a pigliare, qualcuno di noi le prende, promettiamo di non andare più. La casa casa resta in costruzione per anni. Il suo corpo grigio pieno di aperture ci chiama. Noi continuiamo ad andare.

Black hole è nato perché i personaggi mi chiamavano nella casa e io li raggiungevo. Mentre ero ferma al passaggio a livello, quando lavavo i piatti o seduta in una sala d’attesa. Entravo e uscivo da questa casa cercando di capire che cosa ci facessero.

Ben presto però ho sentito che fantasticavo su quella casa perché avevo il desiderio di raccontare un momento della crescita in cui può capitare di sentirsi bloccati a metà. In dietro non si torna ma non si va neppure avanti. La nostra costruzione si ferma perché non sappiamo come proseguire. Qualcuno ha messo le fondamenta, ha tirato su i muri, c’è anche un tetto. Fin qui tutto ok. E poi? Quando tocca a noi metterci al lavoro, che cosa si fa? Come vogliamo diventare?

Giulio e Samantha, ciascuno per i propri motivi, sono a questo punto. È per questo che sono chiamati dalla casa. Ad entrambi è familiare. Non ne hanno paura perché le loro vite somigliano alla casa.

Per Samantha, che vive in una situazione rischiosa a casa propria, la casa abbandonata diventa un rifugio che lei arreda con i vecchi pezzi della propria camera da letto di bambina anche se ormai le va tutto stretto.

Giulio semplicemente non sa dove stare. Il luogo dove desidera tornare, una casa dove ci siano dentro mamma e papà ancora insieme, non c’è più. Si sta adattando a una nuova situazione ed è in una specie di terra di mezzo.

La casa contiene le storie di Samantha e Giulio. Una specie di zona franca che sembra funzionare per riprendere fiato. Ma è una casa in cui entra la notte, la pioggia, il vento, il fuoco.

Può essere solo un luogo di passaggio. Dalla casa si deve uscire perché Samantha nella casa ha portato qualcosa di molto, molto pericoloso. È un segreto che Giulio non immagina, che non può sapere.

Mentre scrivevo Black hole, ho scritto due poesie che riguardano da vicino questa storia.

Si trovano in due libri diversi. La prima è tratta da In mezzo alla fiaba (Topipittori, illustrazioni di Arianna Vairo) ed è una poesia che si ispira alla fiaba di Barbablu.



Devi scenderle tutte quelle scale

se ti vuoi salvare,

una ad una,

avere paura...

e girare la chiave

anche se tremano i ginocchi

devi aprire capire guardare

mai chiudere gli occhi

davanti al male.

Samatha si trova a scendere queste scale e dovrà trovare il modo di risalire per fuggirsene via. Chi ha detto che le fiabe sono solo per bambini? Forse, quando si cresce, abbiamo ancora più bisogno di conoscerle.

La seconda poesia che è legata a questa storia, si trova in Acerbo sarai tu (Topipittori, illustrazioni di Francesco Chiacchio). È proprio la poesia che apre questo libro di versi sull’adolescenza.

C’è un gioco che Giulio e Samantha fanno nel parco giochi in cui entrano di nascosto ed è quello degli scivoli d’acqua. Tra tutti, il più veloce e spaventoso è il black hole. Un tubo nero in cui non si vede nulla e si scivola giù molto rapidamente. Inutile precisare che è un gioco che ho fatto mille volte.

Scrivendo questa poesia ho capito che, oltre a essere un gioco, quello di scivolare giù al buio e poi ritrovarsi come gettati all'improvviso nella luce e nell'acqua, era anche una specie di sogno. Quello di nascere. Quando si cresce capita anche questo. Di nascere una seconda volta, di trovarci ad un tratto diversi, come appena arrivati. Tutto è nuovo davanti a noi. Entriamo nella vita con un tuffo e dobbiamo imparare a nuotare.



Ho sognato un parco giochi, un tunnel

un tubo d’acqua in cui cadevo

acceleravo al buio

senza freno verso il fondo,

veloce scivolavo giù, scendevo

ho sognato che nascevo

Ma le corrispondenze segrete non sono finite.

Giulio si avvicina alla storia di Samantha come a un buco nero. Qualcosa lo attrae ma non sa che cosa lo aspetta al centro, dove lei tace. Un centro da cui non esce nessuna luce perché Samantha non può dire. Nel corso della storia Giulio userà la sua passione per le stelle nel tentativo di decifrare quest’amica così speciale e inattesa. Non è un caso che io abbia scelto lo spazio.

Lo spazio piace anche a me. E mi piace perché ho avuto un amico proprio come Giulio. Si chiamava (e si chiama ancora) Mazi e sapeva un sacco di cose sullo spazio e mi parlava spesso di ciò che imparava. Anche lui fa spesso capolino in C’è questo in me.

Ma dallo scorso anno c’è una nuova corrispondenza con Black hole che si aggiunge ed è arrivata come un vero e proprio regalo. Ho avuto infatti la possibilità di collaborare alla stesura di un libro sull’universo scritto da sei astrofisiche.

Mi è sembrato così di ritrovare Giulio e insieme a lui il mio amico Mazi.

Il libro si chiama Apri gli occhi al cielo (Mondadori) ed è un manuale per andare alla scoperta dello spazio. Io ho scritto dei versi per accompagnare il testo scientifico.


Ecco qui una poesia dedicata ai buchi neri.

Cosa sei?

Come funzioni?

Cosa accade dentro di te?

Mi piace pensare

di poter parlare al cuore pulsante

di una galassia:

le domande sono esche gettate

nel suo fondo oscuro

a fortissima gravità,

da dove neanche la luce

riesce a scappare,

neppure alla sua proverbiale

velocità.

Ma forse, quella che amo di più, è questa. L’ho scritta per il capitolo che descrive la nascita e la vita di una stella. È così che ho studiato come le stelle diventano adolescenti e mi è tornata in mente Samantha, il suo fuoco, e tutta l’energia che doveva prima o poi liberare. E non per distruggersi ma per iniziare a splendere.

Un po’ come tutti.

L’adolescenza di una stella

trascorre a dieci milioni di gradi.

Il suo centro

è una continua fusione nucleare.

È normale quando si cresce

trasformare,

cambiare elementi leggeri in pesanti,

produrre altissima energia

che non si può incatenare,

così sprigionarla

e brillare e brillare e brillare.

In attesa di vedere che cosa ci porterà questa estate, vi propongo un tuffo con Giulio e Samantha. Eccoli al parco giochi.

Quando aprirono gli impianti di scivoli eravamo i primi alla cordicella. Scendemmo in due sopra un gommone, cinque, sei, dieci volte. Ci rovesciavamo nelle curve, entravamo con i piedi, di testa, di schiena, intrecciati, tenendoci per le caviglie, per le mani.

Provammo quelli senza gommone, più stretti e più veloci, nei quali si doveva scendere uno alla volta. Un bagnino ti dava il via altrimenti poteva essere molto pericoloso.

Quello giallo, quello verde, quello rosso. Ognuno aveva un nome inglese: Yellow Submarine, Green speed, Red dart. Scivoli stretti, di plastica trasparente colorata con curve e piccole accelerazioni che finivano sboccando nella stessa piscina a pochi metri l’uno dall’altro.

Nemmeno a dirlo il più forte era il Black hole, vietato sotto i dodici anni e, diceva la tabella, vietatissimo a chi aveva problemi cardiaci. Un tubo nero nero, chiuso, ripido, dritto e velocissimo dentro il quale schizzavi come un proiettile senza riuscire a prevedere nessun cambiamento

di rotta. I piedi nel vuoto, gli occhi al buio più completo, il cuore in gola, fino a quando venivi sparato fuori in una piscina.

Lo provammo più volte, la prima misi le braccia a croce sul petto come mostrava il cartello, scivolai come una mummia in un cunicolo delle piramidi.

Poi provai con le mani lungo i fianchi, con le mani dietro la nuca, con gli occhi aperti o chiusi non faceva nessuna differenza, provai a gridare e la mia voce rimbombava, provai a stare zitto e schizzare giù in silenzio, solo il frusciare del mio corpo e lo scorrere veloce dell’acqua, provai a contare e non erano mai più di cinque, sei secondi di pura adrenalina. Appena fuori dal black hole la cercavo.

Gocciolanti, col fiato grosso, i capelli appiccicati al viso, ci trovavamo al bordo della piscina e poi correvamo di nuovo in cima.

E se volete provare, ecco qui un video fatto proprio dentro il black hole e poi modificato.

I versi sono quelli della poesia, la voce e la musica sono di Sualzo che li ha trasformati in una canzone da cantare quando abbiamo voglia di ricominciare, di tuffarci, di nascere.



Questa ed altre canzoni ispirate ad Acerbo sarai tu si trovano nel cd Non è perdere tempo.



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